La prefazione di Pasquale Allegro al nuovo progetto poetico-fotografico dello psichiatra e scrittore Cesare Perri
È una supplica che potrebbe sembrare preghiera la poesia di questa raccolta, se non fosse che Cesare Perri ha voglia di afferrare l’incanto solo per lasciarlo andare, è intransigente, non cattura, sostituisce i sogni con un tratto o una parola, nelle lunghe soste a ricordare la consolazione che aveva accanto.
Dietro le facciate di una porta fatiscente o di un muro che piange rivoli di sbriciolato, i sentimenti verso la sua terra amata, la sua vita amata, si tingono di quel senso di gratitudine verso il tempo ricevuto. Che almeno possa sentire pacificato il lato rivolto al sole. È un viaggio, ma non a ritroso, verso il basso, dentro, profondo, a esprimere il senso di solitudine come rifugio, di alterità come speranza. È l’altalena dei ricordi.
Non è però un libro dei ricordi perduti; la sua è un’identità di poeta, sempre generoso, scrive per meglio amare, tiene aperte finestre e occhi, sente il mondo pieno di gente e nessuna di quelle persone è lui, se non il cantore dei migranti, degli ultimi, di un amore unico per sempre. Le figure retoriche si intrecciano e tutti i nomi dati ai ricordi non saranno dimenticati, i fogli strappati dai muri ricomposti in sottili filamenti, il modo in cui guardava il suo paese, in cui guardava una donna, il movimento degli occhi a girare attorno a quella notte: sono stati felici quella notte, e lo sono ancora. I paesaggi, anche quelli umani, si fanno similitudini che tendono a incatenare l’animo nel suo intimo, gli eventi lo tengono sospeso ma brevemente, poi torna, ha sentito che esiste. E ha bisogno di questi ritrovamenti.
Cantare un’illusione, dilatare il più possibile questa realtà mortale e tangibile
Ispirato dal tempo, ha compreso che la bellezza è la malinconia di viuzze antiche, il buio internato delle finestre sbarrate, la poca luce che rifugge ingiallita, la poca pioggia che vi ristagna in un luccichio inventato, e va cercando sollievo, mai dimentico del fatto che la cosa più importante sta accadendo e si chiama vita, che il sole brilla in picchiata sulle strade percorse, e brucia un po’ dentro quando ci si concede così tanta vicinanza alla sorgente delle origini da richiedere l’urgenza del disincanto. Ma come chiedere alla poesia di abbandonare la tentazione di cantare un’illusione, se dilatare il più possibile questa realtà mortale e tangibile vale una battaglia senza misericordia… Temiamo che poeta sia chi piange meglio.
Ci sono ancora piccole tracce che Cesare lascia, c’è il suo armamentario, neppure la poesia è inoffensiva, il suo impegno sociale, una rivoluzione domata e smaniosa, una pietra inferma sul passato, uno spazio bianco per l’artista inquieto, l’incapacità di essere infinito. Non vuole certo vivere per sempre né che il suo amore sia eterno. Vorrebbe solo un giorno ridurre la sua vita a migliaia di versi, non un abbraccio perfetto, ma un abbraccio esteso il più possibile.
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